Canzone ed Emigrazione


Articolo in "Valledelsagittario.it" del 2008

 

PRIMA EMIGRAMMO NOI A MILIONI

Tra il 1876 e il 1976 sono stati più di 25 milioni gli espatri di Italiani

 di Franco D’Alessandro - Torino

LA NOTIZIA DATA SUL GAZZETTINO della proiezione del film-documentario “Pane amaro”del giornalista italo-americano Gianfranco Norelli e le notizie quotidiane di sbarchi di migranti sulle coste del nostro paese, hanno suscitato in me una riflessione su questo tema ed evocato anche racconti, storie di emigrazione e di vita, ascoltate da bambino , comuni a tante famiglie dei paesi della nostra Valle. Mio nonno, poi mio padre. Due generazioni, due storie di vita, come tante, dure, per dare una speranza di vita migliore alla propria famiglia e un futuro ai propri figli. La curiosità mi ha spinto a cercare qualche traccia della vicenda americana di un nonno che non ho conosciuto, D’Alessandro Nicola classe 1886 . A 21 anni , viaggiando con altri 2 compaesani, Colasante Angelantonio di 27 anni e Nocente Nicola di 41 anni, partì dal porto di Napoli il 27 Settembre 1907 con la nave The Konig Albert (2175 passeggeri  257 in 1° classe, 119 2° classe e 1799 in 3° classe ). Sbarcò a New York in Ellis Island il 10 Ottobre del 1907. Ciò risulta dalla “List of manifest of alien passengers for the Unites” della nave. Arrivato ad Ellis Island come tutti gli immigrati fu sottoposto a controllo  per gli aspetti riguardanti la salute ( condition of health mental and physical, Height, feet, inches, complexion, color of hair , eyes ) , la religione , le idee politiche (whether an anarchist) la famiglia ( wheter a polygamist , married or single) e la possibilità di mantenersi prima di poter trovare lavoro (Wheter in possession of 50 $ an if less how much , whether having a ticket to such final destination ) . Tornò in Italia, si sposò,  in previsione di tornare negli USA. Con l’avvento del fascismo non gli fu concesso il passaporto. Per questo tutta la famiglia si trovò in notevole difficoltà avendo egli contratto un prestito per l’acquisto di un terreno che contava di saldare tornando a lavorare in America. ( Chi volesse coltivare la mia stessa curiosità per la propria famiglia può far riferimento al sito www.ellisislandrecords.org).

Mio padre D’Alessandro Americo, classe 1925, come tanti compaesani, dopo l’esperienza del lavoro in miniera a Monteneve ( BZ) nella seconda metà degli anni 50 partì per il Venezuela . Tornò a Scanno nel 1961 sulla scia dello sviluppo turistico del paese. Storie della mia famiglia, storia di tante famiglie appartenenti alle comunità della nostra Valle. La nuova direttiva dell’Unione Europea sull’immigrazione clandestina approvata in data 18 Giugno 2008 ha  provocato la protesta di paesi del Sud America, perché colpirà migliaia di latino-americani che vivono in Europa. La direttiva è stata definita “verguenza” cioè della vergogna. Un esercito di badanti, collaboratrici domestiche, muratori , camerieri, lavoratori stagionali, arrivati sulla scia di catene migratorie avviate da tempo, rischiano ora, non avendo un impiego formale, il fermo fino a 18 mesi nei CPT- centri di permanenza temporanei e poi l’espulsione. Si deve ricordare l’accoglienza offerta dopo la seconda Guerra Mondiale agli immigrati europei, italiani e spagnoli. Per riflettere 

- Il fenomeno migratorio italiano ha avuto dimensioni strutturali per 100 anni ed è stata la modalità con cui l’Italia ha tentato di risolvere i problemi della povertà, della disoccupazione e del ritardo nello sviluppo economico, della crescita demografica.

- La consistenza è stata elevatissima: con medie annuali sino a 900.000 e tassi percentuali fino al 2,4% annuo.

- Il tessuto italiano strutturale, sociale, culturale è stato e resta segnato per generazioni da partenze e rientri, che dal 1976 superano le partenze. L’attuale immigrazione straniera rispetto a quella italiana ha dimensioni inferiori di 10 volte!

- Leggere l’Italia e ignorare la nostra centenaria emigrazione all'estero ci porta ad ignorare aspetti rilevanti della nostra vita sociale. Il fenomeno migratorio verso l’Italia può essere capito meglio se non ignoriamo la nostra esperienza.

- Oggi continuiamo ad essere un paese diviso; un’Italia sul proprio territorio (57 milioni di persone); un’Italia all'estero fatta di 58 milioni di “figli di italiani”.

 


I canti di chi lasciava l’Italia

Tra il 1875 e il 1920 oltre cinque milioni di italiani lasciarono il Paese per cercare fortuna in America. Questo grande flusso umano è rimasto un evento indelebile per la memoria, e, di conseguenza ha trovato nella musica una delle sue più calzanti rappresentazioni.

Una testimonianza in note della tristezza con la quale gli emigranti vivevano il distacco dall’Italia è Mamma mia dammi cento lire. La famosissima ballata narra le peripezie di una giovane emigrante che abbandonata la propria casa muore nel naufragio del bastimento che la stava portando in America.

La note dell’emigrazione italiana sono malinconiche in una grande quantità di testi, come, solo per citarne alcuni Lacreme napuletane, Miniera, Torna a Surriento, Partono i bastimenti.

In quegli anni gli emigrati italiani  produssero oltreoceano circa 7.500 documenti sonori tra genere operistico, canzone napoletana, musica da ballo e altre varietà strumentali.

Sulla canzone dell’emigrazione italiana esiste, grazie alla ricercatrice siciliana Giuliana Fugazzotto, un archivio storico composto da dischi a 78 giri con oltre 5 mila pezzi.

Il suo lavoro di studio  sui documenti musicali del periodo è confluito in un volume-reportage dal titolo Ethnic Italian Records.

Tra le canzoni d’emigrazione non si può non citare quella di Odoardo Spadaro ‘Porta un bacione a Firenze’, del 1938. Il testo racconta il dialogo di una ragazza, figlia di emigrante, che spera di tornare a Firenze e un anziano che dopo lunghi anni riesce finalmente a ritornare. “Partivo una mattina co’i’ vapore / e una bella bambina gli arrivò. / Vedendomi la fa: Scusi signore! / Perdoni, l’e di’ ffiore, sì lo so. / Lei torna a casa lieto, ben lo vedo / ed un favore piccolo qui chiedo. / La porti un bacione a Firenze, / che l’è la mia citta / che in cuore ho sempre qui. / … Son figlia d’emigrante, / per questo son distante, / lavoro perché un giorno a casa tornerò…”.


E. A. Mario

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta (Napoli, 5 maggio 1884Napoli, 24 giugno 1961), è stato un paroliere e compositore italiano, autore di numerose canzoni di grande successo, come La canzone del Piave. Alcuni brani furono composti in lingua italiana, altri in lingua napoletana; di essi, quasi sempre, scriveva sia i testi che la musica.

È sicuramente da annoverare, insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo e Libero Bovio, tra i massimi esponenti della canzone napoletana della prima metà del Novecento ed uno dei protagonisti indiscussi della canzone italiana dal primo dopoguerra agli anni cinquanta, sia per la grandissima produzione - dovuta alla sua felicissima vena poetica - che alla qualità delle sue opere.

 

Il futuro E. A. Mario nacque a Napoli da una modesta e povera famiglia di Pellezzano il 5 maggio 1884, in un basso di Vico Tutti i Santi in uno dei quartieri più popolari della città (Borgo S.Antonio Abate), quartiere Vicaria. Il padre, Michele Gaeta, era barbiere e la madre, Maria della Monica, una casalinga. Il retrobottega della barberia del padre era tutta la loro casa. Non divenne mai ricco, poiché assai presto, per esigenze familiari e soprattutto a causa di una grave malattia della moglie, decise di vendere a una casa editrice di Milano i diritti di tutte le sue canzoni, dei quali ricevette, negli anni successivi, solo una piccolissima percentuale. E. A. Mario fu direttore del coro degli allievi della Scuola Militare Nunziatella intorno al 1921.

 

Fu un appassionato e accanito lettore di libri, specialmente storici, e così riuscì a formarsi una cultura assai ricca e pluridisciplinare. Un suo vezzo era, di tanto in tanto, arricchire la sua dialettica con citazioni sempre precise. In gioventù si iscrisse all'Istituto nautico ma, poiché le tasse scolastiche risultavano troppo impegnative per la modesta economia familiare, non poté mai concludere gli studi e diventare capitano di lungo corso.

 

Quando aveva circa dieci anni, un posteggiatore, entrato nel negozio di barbiere del padre, dimenticò un mandolino sulla sedia e, grazie a quello strumento, che prese a strimpellare da solo, iniziò a suonare e iniziò comporre le prime melodie. Apprese poi a suonare bene il mandolino e imparò a leggere la musica da autodidatta grazie a una pubblicazione settimanale della Casa Editrice Sonzogno, "La musica senza maestro". L'intera raccolta è tuttora in possesso della figlia Bruna. Molti lo chiamavano "maestro" ma, lui, pur essendo di fatto divenuto musicista, si schermiva dicendo di non esserlo. Egli componeva la melodia, l'armonia completa di motivo, e in seguito un maestro esperto trascriveva le partiture senza cambiare quasi mai nulla del motivo originale, sui testi precisi nel ritmo che, già all'abbozzo, risultavano perfetti e facili da trascrivere sul pentagrammaLe sue composizioni furono anche oggetto di imitazioni: Totò, agli inizi della carriera, compose e recitò "Vicoli", una parodia della canzone "Vipera" di E. A. Mario.

 

"La canzone del Piave"

Nel 1918, nella notte del 23 giugno, poco dopo il termine della battaglia del solstizio, in seguito alla resistenza e alla vittoria italiana sul Piave, scrisse di getto i versi e la musica de La canzone del Piave, che gli procurò subito una grande notorietà[1]. La canzone servì a risollevare il morale dei soldati, e lo stesso comandante in capo Gen. Armando Diaz gli telegrafò per fargli sapere che la sua canzone era servita a dare coraggio ai nostri soldati e ad aiutare lo sforzo bellico "più di un generale".

La canzone fu considerata una sorta di inno nazionale, poiché esprimeva la rabbia e l'amarezza per la disfatta di Caporetto e l'orgoglio per la riscossa sul fronte veneto.

In particolare, nel periodo costituzionale transitorio durante la fase conclusiva della seconda guerra mondiale, la canzone fu adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano.

 

La canzone del Piave è stata riproposta come inno nazionale il 21 luglio del 2008 da Umberto Bossi[5].

 

Nel 1904, Giovanni Gaeta adottò per la prima volta lo pseudonimo di E. A. Mario, che gli avrebbe poi portato tanta fortuna facendolo diventare famoso in tutto il mondo con le sue canzoni. Il suo nome d'arte E. A. Mario, è la composizione di varie scelte.

“E” deriva dal suo primo pseudonimo Ermes (o Ermete), “A” fu scelto come segno di riconoscimento e stima verso Alessandro Sacheri, giornalista e scrittore, suo amico fraterno, nonché caporedattore del quotidiano genovese Il Lavoro, che gli pubblicò i primi lavori di scrittore. Mario stava ad indicare il patriota Alberto Mario, che fu suo idolo nella giovinezza, trascorsa con grande passione mazziniana e, forse, anche perché gli piaceva lo pseudonimo con il quale si firmava la poetessa polacca, direttrice del periodico Il Ventesimo di Bergamo Maria Clarvy.

 

 

Nell'attività di poeta e compositore esplose tutta la carica vulcanica della sua viscerale napoletanità. In tutta la sua lunga carriera scrisse oltre duemila canzoni, musicandone anche una parte. La versatilità del suo genio artistico lo portava a toccare, con eguale abilità, tutte le varie sfaccettature di quel prisma luminoso che è l'arte letteraria: saggi storici, novelle, poesie, canzoni. La sua passione per le poesie e la sua vena ricca e inesauribile — oltre che di grandissimo spessore e qualità, finezza e originalità — lo portarono ad essere, nella storia della letteratura partenopea, uno degli autori più produttivi e fecondi; un gigante e un punto di riferimento, diventato con il tempo un vero monumento artistico.

Incisioni famose di sue canzoni sono, le interpretazioni di Santa Lucia luntana di Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Franco Ricci, Gilda Mignonette, Francesco Albanese, registrate sui vecchi dischi a 78 giri. In seguito molte delle sue canzoni più famose, vennero registrate ed interpretate dai più grandi tenori di tutti i tempi, quali, tra gli altri, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, José Carreras, Plácido Domingo, fino al grande Luciano Pavarotti.

Le sue canzoni hanno fatto parte del repertorio dei maggiori cantanti napoletani di varie generazioni, da Massimo Ranieri a Mario Merola, da Peppino di Capri a Roberto Murolo, Mario Abbate, Sergio Bruni, Bruno Venturini e tanti altri ancora.

 

Tammurriata nera

La famosa canzone Tammurriata nera, della quale E. A. Mario compose la musica, nacque da una circostanza assai curiosa avvenuta nel 1944. Edoardo Nicolardi, amico di E. A. Mario, nonché dirigente amministrativo del famoso ospedale napoletano Loreto Mare, un giorno vide un particolare trambusto nel reparto maternità. Ciò che suscitò tanta meraviglia fu una ragazza napoletana che aveva partorito un bambino di colore. Il caso però non rimase isolato, vi furono altre ragazze che partorirono bambini frutto di relazioni con soldati afro-americani. Quando la sera i due amici si ritrovarono a casa di E. A. Mario (i due, oltre che essere amici e colleghi, stavano per diventare anche consuoceri, poiché Italia, terza figlia di E. A. Mario, doveva di lì a poco sposare Ottavio, figlio del Nicolardi), si resero subito conto della svolta epocale che quel fatto rappresentava ed E. A. Mario esclamò commosso: "È 'na mamma curaggiosa! È 'na mamma chiena 'e core! Edua', facimmo 'sta canzone!". E fu così che sull'onda della commozione, con spirito partenopeo, sull'immediatezza dei versi del Nicolardi, dettati di getto, e l'istintiva melodia di E. A. Mario, nacque quella canzone diventata poi famosa.

 

 

L'ultima sua abitazione, in affitto, fu in viale Elena, oggi viale Antonio Gramsci, dove poi morì. A ricordarlo vi è affissa una lapide. La moglie morì pochi mesi prima di lui. Le figlie, giacché il poeta era molto malato, per non dargli un ulteriore dispiacere, gli nascosero la morte della moglie, conoscendo il suo profondo affetto per lei e lo trasferirono al piano inferiore, nell'abitazione dell'altra figlia. Inizialmente non riusciva a comprendere perché non potesse vedere la moglie ma, dopo pochi giorni, capì e disse: «Adelina è finita, è vero?». Da quel momento, smise di parlare e incominciò a lasciarsi morire piano piano. Si spense il 24 giugno 1961, giorno del suo onomastico. Aveva settantasette anni.

Un'altra targa che ricorda uno dei suoi più grandi successi mondiali, oltre che l'emigrazione di tanti napoletani, è quella fatta apporre sopra la scaletta del Borgo Marinari, sulla quale sono incisi solo i primi due versi di “Santa Lucia luntana”.

In molte città italiane esistono oggi, strade, piazze e scuole che ricordano il poeta E.A. Mario.

Le sue canzoni, specie quelle napoletane, sono divenute famose e hanno dato un notevole contributo alla diffusione della musica partenopea in tutto il mondo.